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Fotografo non identificato. Fotografie dell’eclisse solare del 6 marzo 1867 eseguite presso l’Osservatorio di Palermo Palermo - 1867 montaggio di positivi su carta all’albumina formato carte-de-visite Accademia di Belle Arti di Brera, Raccolte storiche, Milano. La nostra capacità di percezione ci impedisce di cogliere ad occhio nudo il movimento degli astri nella loro continuità, ad eccezione delle comete. Per questa ragione la fotografia astronomica si sviluppò rapidamente sin dagli esordi offrendo anche allo sguardo profano la resa di questo movimento impercettibile grazie a montaggi complessi di fotografie disposte in ordine sequenziale. Le eclissi, che suscitavano da sempre grandi emozioni, furono tra le prime ad essere immortalate anche allo scopo di tramandare e conservare memoria perenne di questi fenomeni e di sfruttare maggiormente il temporaneo oscuramento della potente luce del sole per effettuare misurazioni e osservazioni in altri momenti impossibili. Questa serie su carta albuminata del 1867, conservatasi presso le raccolte storiche dell’Accademia di Belle Arti di Brera, testimonia l’interesse che a Milano si scatenò su queste sperimentazioni: il primo a cimentarsi fu probabilmente Alessandro Duroni che realizzò una lastra dagherrotipica, in collaborazione con Majocchi, per l’eclisse dell’8 luglio 1842.
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Particolari di: Fotografo non identificato. Fotografie dell’eclisse solare del 6 marzo 1867 eseguite presso l’Osservatorio di Palermo: “tabella del tempo medio corrispondente agli istanti in cui si presero le fotografie dell’eclisse” Palermo - 1867. Positivo su carta all’albumina formato carte-de-visite. Accademia di Belle Arti di Brera, Raccolte storiche, Milano.
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Ettore Artini (1866 - 1928). Esemplare di minerale. Milano, fine del XIX secolo. Immagine in positivo realizzata digitalmente da un negativo alla gelatina bromuro d’argento su lastra, 180x130 mm. Museo Civico di Storia Naturale di Milano – Archivio fotografico storico - n. inv. ARTINI 02-03-10. Già Barzanò sottolineava nel suo discorso del 1854 che “un minerale [in fotografia può] offrire perfino la lucentezza e la trasparenza, senza dei quali caratteri le figure geometriche mai non varranno a dare un chiaro concetto di un quarzo, di un granato, di una pirite” (La fotografia, in, “Diario e Atti dell’Accademia Fisio-Medico-Statistica”, anno IX, n.10, 24 ottobre 1854, p. 2). Ettore Artini fu direttore della sezione di Mineralogia del Civico Museo di Storia Naturale di Milano dal 1897 al 1911 e, successivamente, fu nominato direttore del museo fino al 1927. Egli, fotografo di mano attenta e approfondita competenza, scattò e raccolse molte fotografie tuttora conservate nell’Archivio fotografico storico (1147 fototipi di cui oltre 600 negativi su lastra). Tra le sue foto abbiamo anche rinvenuto un blocco di appunti su cui il mineralogista annotava minuziosamente, anche se sporadicamente, i dati tecnici dei suoi scatti. L’oggetto fotografato, forse per poi essere pubblicato in una delle edizioni dei suoi manuali editi da Ulrico Hoepli, è in questo caso posizionato centralmente rispetto all’obiettivo. L’intento di ottenere una ripresa precisa e chiara in ogni dettaglio del materiale è evidenziato anche dalla scelta di uno sfondo piatto e dal colore uniforme e dall’illuminazione artificiale.
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Ettore Artini (1866 - 1928) attr. Esemplare di bomba pomicea proveniente dall’Isola di Vulcano e donata da Mercalli Milano, fine del XIX secolo. Immagine in positivo realizzata digitalmente da un negativo alla gelatina bromuro d’argento su lastra, 180x130 mm. Museo Civico di Storia Naturale di Milano – Archivio fotografico storico - n. inv. ARTINI 05-02. La fotografia puntando il proprio obiettivo su esemplari mineralogici ne rivela la struttura e ne rende visibile ed apprezzabile l’armonia e la simmetria. Pochi anni dopo Albert Renger-Patzsch (1897-1966), fotografo tedesco associato alla Neue Sachlichkeit (Nuova obiettività) teorizzando sulla potenza dello strumento fotografico sostenne una frase che ben si adatta alle fotografie conservate nel fondo Artini: secondo lui la fotografia rendeva “la struttura del legno, della pietra e del metallo con una perfezione al di là dei mezzi espressivi della pittura” (Ziele, in, “Das Deutsche Lichtbild”, 1927, p. XVIII)
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Gilberto Melzi (1868 - 1899). Sezione sottile di roccia serpentina - microfotografia a luce naturale. Milano, fine del XIX secolo. Gelatina bromuro d’argento su lastra, 180x130 mm. Museo Civico di Storia Naturale di Milano – Archivio fotografico storico - n. inv. ARTINI 05-05. Il conte Melzi (1868 - 1899) studioso di petrografia, che con Artini scrisse anche una memoria sulle: “Ricerche petrografiche e geologiche sulla Valsesia” per l’Istituto Lombardo di Scienza e Lettere, fu anche, sin da giovanissimo, compagno di scalate e di ricerche del mineralogista. In molti casi i due studiosi utilizzarono personalmente gli strumenti fotografici. Essendo entrambi appassionati di fotografia si avventurarono anche nelle tecniche di ripresa microfotografiche. A seconda dell’evoluzione tecnica, a questo genere di riprese si applicarono, come in questo caso, lenti acromatiche o, successivamente lenti apocromatiche che permisero di correggere le aberrazioni dei tre colori fondamentali.
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Ettore Artini (1866 - 1928) attr. Microfotografia di sezione di minerale. Milano, fine del XIX secolo. Immagine in positivo realizzata digitalmente da un negativo alla gelatina bromuro d’argento su lastra, 180x130 mm. Museo Civico di Storia Naturale di Milano – Archivio fotografico storico - n.inv. ARTINI 06-05-12. La microfotografia riesce a porre insieme un apparecchio fotografico, un microscopio e una lastra o una pellicola sensibile. Anche se molte delle fotografie di questo tipo sono immagini derivanti dalla sola volontà documentaria non si può negare che, spesso, esse abbiano anche una notevole valenza estetica, effetto secondario e non voluto della ripresa, originariamente priva di ogni intenzionalità artistica. Immagini come questa ebbero una forte influenza su chi vide nell’evoluzione tecnica dei mezzi per l’osservazione del reale, macchina fotografica e microscopio innanzitutto, una via per cogliere una bellezza astratta e rara.
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Giacinto Martorelli (1855 - 1917). Gufo di palude (Asio flammeus). Milano, 1908. Autocromia, 180x130 mm. Museo Civico di Storia Naturale di Milano – Archivio fotografico storico - n. inv. EXMO01/05/01. Nascosti nella grande quantità di negativi e positivi in bianco e nero del Fondo Moltoni del Civico Museo di Storia Naturale è stato rinvenuto un nucleo più antico composto da diciassette autocromie (positivi su vetro a colori realizzati secondo una tecnica brevettata dai fratelli Lumière) realizzate nel 1908 da Giacinto Martorelli (1855 - 1917), predecessore del Moltoni nella direzione della Collezione Turati. Un autografo dello studioso ci chiarisce la ragione che lo indusse a sperimentare questa tecnica: “Tra le nuove attività della sezione debbo ancora ricordare che riuscì felicemente l’applicazione della fotografia a colori, sistema Lumière, e che appunto in questi giorni potei constatarne l’utilità pratica ed economica per il Museo cui eran stati chiesti due esemplari rarissimi in comunicazione e mercé un autocromo [sottolineato nell’originale] Lumière potei soddisfare la richiesta senza esporre i soggetti ai pericoli di un viaggio” (Archivio Storico MSMN, 1909, busta 60/2/7).
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Giacinto Martorelli (1855 - 1917). Falcone pellegrino (particolare), Milano, s.d. Gelatina bromuro d’argento su carta incollata su cartoncino acquerellato Museo Civico di Storia Naturale di Milano, archivio Moltoni, Busta 38, Fasc. 4. In tutto il lavoro di Martorelli colpisce l’ampio spazio dedicato alle illustrazioni “in un’epoca in cui – come sostiene Barbagli - il ricorso all’immagine su lavori scientifici era in genere del tutto occasionale” (Barbagli, F., Giacinto Martorelli: ornitologo, illustratore, protezionista, in, Martorelli G., “Monografia illustrata degli uccelli di rapina in Italia – 1895 -, Memorie della Società Italiana di Scienze Naturali e del Museo Civico di Storia Naturale di Milano”, Milano, 2002, vol. XXI, fascicolo II, p.IX). Abile tassidermista e disegnatore di talento si dilettava di fotografia, utilizzando i suoi scatti anche per le pubblicazioni più importanti, come la monografia del 1906, Uccelli d’Italia, che corredò di ben 236 fotoincisioni tratte da suoi acquerelli e positivi. Martorelli è affascinato dalla fotografia e se ne avvale in vari modi: può rispettarla e pubblicarla nella propria integrità originale; può servirsene come modello per le proprie realizzazioni pittoriche; oppure può trasformarla grazie alla sua perizia, ritoccando ad acquerello gli sfondi o ritagliando i soggetti centrali per ricreare, come nell’immagine in basso, gli ambienti di contorno.
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Giacinto Martorelli (1855 - 1917). Piccione selvatico (columba livia), Milano, 1908. Autocromia, 180x130mm. Museo Civico di Storia Naturale di Milano – Archivio fotografico storico - n. inv. EXMO01/05/10 e Piccione selvatico (columba livia) ante 1906, fotoincisione tratta da: Martorelli G., Uccelli d’Italia, con 236 fotoincisioni da acquerelli e fotografie originali dell’autore e con 6 tavole a colori del medesimo, Milano, 1906, p. 40 L’importanza dell’analisi del colore, e la sensibilità dell’autore nei confronti di questo aspetto, emerge anche dagli scritti di Martorelli. La descrizione del 1906 del piccione selvatico (columba livia) sembra concretizzarsi due anni dopo nell’autocromia da lui stesso scattata: “L’ho osservata quasi quotidianamente per due anni sulle coste e sui luoghi rocciosi della Sardegna. Si vedono bene i caratteri, tra i quali principalmente le sue bande nere parallele che attraversano l’ala, e si può vedere la gradazione del color grigio-blu che domina su tutto il corpo, tranne sul sopraccoda, che è bianco, e sul collo, ove sono i riflessi verdi e porporini. Ha gli occhi giallo-aranciati e i piedi rosso-carmini, il becco nero” (Martorelli G., Uccelli d’Italia, con 236 fotoincisioni da acquerelli e fotografie originali dell’autore e con 6 tavole a colori del medesimo, Milano, 1906, p.40).
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Giacinto Martorelli (1855 - 1917) Gufo reale - Bubo bubo, Milano, 1908. Autocromia, 130x180 mm – 1908. Museo Civico di Storia Naturale di Milano – Archivio fotografico storico - n. inv. EX MO 01-05 e Gufo reale (bubo bubo) ante 1906 fotoincisione tratta da: Martorelli G., Uccelli d’Italia, con 236 fotoincisioni da acquerelli e fotografie originali dell’autore e con 6 tavole a colori del medesimo, Milano, 1906, p.418 La stessa cosa dicasi per la descrizione del gufo reale (bubo bubo) rappresentato nella pubblicazione da una fotoincisione tratta da una fotografia dell’autore in bianco e nero: “È uccello di indole feroce e selvaggia dall’aspetto pauroso, che suole stare in posizione eretta, come è rappresentato dalla mia fotografia, colle piume sollevate. Gli occhi aranciati splendono sinistramente sotto i neri sopraccigli sporgenti ed alla sua figura danno aspetto caratteristico […]” (Martorelli G., Uccelli d’Italia, con 236 fotoincisioni da acquerelli e fotografie originali dell’autore e con 6 tavole a colori del medesimo, Milano, 1906, p.418).
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Edgardo Moltoni (1886 - 1980). Sviluppo dell’embrione di un pulcino – schiusa dell’uovo. Milano, 28 maggio 1931. Immagine in positivo realizzata digitalmente da un negativo alla gelatina bromuro d’argento su lastra, 180x130 mm. Museo Civico di Storia Naturale di Milano – Archivio fotografico storico - n. inv. EXMO 1-10bis. Il fondo fotografico appartenuto a Edgardo Moltoni, ornitologo, conservatore della collezione Turati dal 1922 al 1951 e direttore del Civico Museo di Storia Naturale di Milano dal 1951 al 1964, è composto da 2019 esemplari fotografici. Tra i suoi materiali molte sono le riproduzioni fotografiche, realizzate da professionisti milanesi degli anni Venti e Trenta del secolo scorso, di uccelli tassidermizzati. Di particolare interesse anche la documentazione sul laboratorio di tassidermia del museo.
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Fotografo non identificato. Esemplare in fase di tassidermizzazione - sezione. Milano, 28 maggio 1931. Immagine in positivo realizzata digitalmente da un negativo alla gelatina bromuro d’argento su lastra (180x130 mm.). Museo Civico di Storia Naturale di Milano – Archivio fotografico storico - n. inv. EXMO 3-6 bis.
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Fotografo non identificato. Esemplare di dugongo durante le fasi di lavorazione nel laboratorio di tassidermia del Museo Civico di Storia naturale. Milano, 1950 circa. Immagine in positivo realizzata digitalmente da un negativo alla gelatina bromuro d’argento su lastra (100x150 mm.). Museo Civico di Storia Naturale di Milano – Archivio fotografico storico - n. inv. EX MO 05-07.
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Fotografo non identificato. Tassidermista al lavoro nel laboratorio del Museo Civico di Storia naturale Milano, 1950 circa. Immagine in positivo realizzata digitalmente da un negativo alla gelatina bromuro d’argento su lastra (100x150 mm.). Museo Civico di Storia Naturale di Milano – Archivio fotografico storico - n. inv. EX MO 05-05bis.
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Carlo Stucchi (1894 - 1975). Clivia. Cuggiono, 1950 ca. Positivo alla gelatina bromuro d’argento su carta baritata. Cuggiono, collezione privata ad uso pubblico. Carlo Stucchi fu medico di professione e botanico per passione. Tra le molte sue attività di fotografo, oltre a pubblicare le sue splendide foto di piante anche su “Giardino Fiorito”, la rivista diretta da Eva Mameli, partecipò al premio fotografico per medici indetto dalla Carlo Erba del 1962 e alla Mostra internazionale del fiore a Trieste dove vinse il primo premio nel 1965. Alcune delle sue fotografie, come questa, furono pubblicate nel testo “Natura viva: enciclopedia sistematica del regno vegetale” con la direzione scientifica di Cesare Conci (C. Conci, “Natura viva”, Milano, 1961-2, p.3).
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Carlo Stucchi (1894 - 1975). Gocce d’acqua su foglie di ninfea, Cuggiono, 1950 ca. Positivo alla gelatina bromuro d’argento su carta baritata. Cuggiono, collezione privata ad uso pubblico. In una riflessione pubblicata, nel 1954, sulle pagine di “Fotorivista” Stucchi si dedicò a stilare quello che può definirsi un vero manuale teorico-pratico di fotografia botanica. In quell’occasione si dilettò, abile narratore, nel cogliere anche il lato ironico delle sue imprese di fotografo: “avvicinarsi alla pianta il più delle volte significa diguazzare nella fanghiglia e perciò bisogna rassegnarsi a levar le scarpe e calze rimboccando i pantaloni: in questo caso un asciugamani fa parte del corredo fotografico […]”. L’attenzione poi si posta sugli aspetti più tecnici spaziando da una disanima attenta delle migliori condizioni di vento e di luce, ad una trattazione della qualità delle pellicole, che non devono essere troppo rapide al fine di permettere anche ingrandimenti molto spinti. Altro aspetto a cui prestare attenzione è il contrasto: ad esempio, per quel che riguarda le piante riprese in uno stagno, l’acqua, che tenderà ad assumere una tinta scura deve assolutamente indovinarsi senza però perdere la sua trasparenza. Stucchi, inoltre, tematizza chiaramente, in questo articolo la divisione esistente tra fotografie scattate dal botanico al fine di realizzare un documento di studio, in cui ci serve l’immagine esatta della pianta ripresa in tutte le sue parti, e quelle create con una finalità più propriamente estetica. In quest’ultimo caso il fotografo dovrebbe, secondo l’autore, sforzarsi di fermare la “bellezza spirituale della pianta nell’incanto dell’atmosfera e dell’ora”. Alla fine dell’articolo Stucchi ci trasmette anche delle preziose informazioni sulle sue posizioni di teorico e critico fotografico: “queste non sono fotografie da concorso. Oggi il vento gira da un’altra parte si vogliono fare fotografie poco comprensibili oppure sciatte fotografie . Come se anche il giro delle stagioni, l’evolversi degli elementi geologici del paesaggio, il nascere, il crescere della pianta in sé e nell’universo organico e inorganico che la circonda non fosse vita? È questione di punto di vista, e di preparazione spirituale e culturale” (C. Stucchi, Le piante acquatiche in fotografia, in, “Fotorivista”, Milano, gennaio-1954, anno 29, n.1, pp.10-15).
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Giulio Rossi (1823 - 1884). Bacino viziato, in, “Album R a Scuola pareggiata di ostetricia in Milano. Raccolta fotografica delle pelvi viziate che si conservano nel museo della scuola” Milano – 1877. Positivo su carta all’albumina, 245x205 mm. Sull’immagine timbro a secco: “Giulio rossi/ pit. Fotografo/ Milano” Fondazione IRCSS Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico, Milano. L’atto di fotografare inizialmente ha bisogno di costruire un vero e proprio set che decontestualizza l’oggetto: fondi scuri o chiari; drappi; appenderie che scompaiono quasi a sospendere l’oggetto fotografato nel vuoto e che anziché accentuare il senso di oggettività dell’immagine ne drammatizzano l’effetto. Giulio Rossi, in questo caso, compensa comunque questa drammatizzazione con la potenza, quasi tangibile, del senso della presenza dell’oggetto che la fotografia riesce a catturare.
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Giulio Rossi (1823 - 1884). Copertina dell’“Album R a Scuola pareggiata di ostetricia in Milano. Raccolta fotografica delle pelvi viziate che si conservano nel museo della scuola”. Milano – 1877. Positivo su carta all’albumina, 245x205 mm. Sull’immagine timbro a secco: “Giulio rossi/ pit. Fotografo/ Milano” Fondazione IRCSS Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico, Milano.
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Fotografo non identificato. Fotografie a corredo della prova di concorso per il Premio Dell’Acqua sul tema “Sulle atrofie senili della calotta cranica”. Pavia, 1914. Aristotipi [108x76 mm. (222x163 mm.)]. Fondazione IRCSS Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico, Milano, busta n.5. Le fotografie illustrano un dattiloscritto rilegato in stoffa verde su cui è scritta una prova di concorso per il Premio Dell’Acqua. Sulla prima pagina si trova un’iscrizione manoscritta a penna “Sulle atrofie senili della calotta cranica – (con 16 fotogr.)”. Le fotografie, che accompagnano le osservazioni sull’argomento tratte soprattutto dalla letteratura medica e dall’osservazione sui crani appartenenti alla collezione dei Musei di Anatomia Normale e di Anatomia Patologica della R. Università di Pavia sono conservate a parte: ognuna è montata su cartoncino beige e coperta da una velina incollata sul bordo superiore del supporto secondario. Su quest’ultimo è presente un’iscrizione dattiloscritta con riferimenti e didascalia, purtroppo poco leggibili. Alcune immagini riportano i segni dei ritocchi realizzati sulla lastra negativa per evidenziare alcune zone. Per isolare il soggetto dal contesto è stato inoltre predisposto un set con delle lenzuola che nascondono il tavolo d’appoggio. Nessuna informazione è recuperabile sull’autore: il concorso, infatti, prevedeva la pubblicazione dell’identità solo in caso di vittoria, anche se, molto probabilmente, doveva far parte degli allievi del professor Achille Monti, che compare citato nel testo della prova.
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Emilio Sommariva (1883 - 1956). Sala per irradiazioni ultraviolette. Fotografia eseguita su commissione di Guido Rossello Milano, 1930. Immagine in positivo realizzata digitalmente da un negativo alla gelatina bromuro d’argento su lastra (180x240 mm.). Biblioteca Nazionale Braidense n. inv. SOM. D. ls. IV. 61. La fotografia non entrò da subito nella pratica delle scienze mediche e non di rado la pubblicazione di fotografie all’interno di testi di studio provocava la necessità di affiancarle con diagrammi esplicativi o ritoccarle per estrarne i particolari e metterli in evidenza. Nella fotografia medica si cercò un vero e proprio “non-stile”, un apparente eliminazione della mano dell’artista, uno stile non soggettivo delle tecniche di rappresentazione. Particolarmente importante e impegnativa risultò allora la scelta del fotografo a cui affidarsi, al fine di scegliere quello il cui stile fosse il più adatto, poiché i professionisti lavoravano nei loro studi e avevano già acquisito abitudini e maturato scelte nel campo dell’inquadratura. Nel nostro caso Emilio Sommariva (1883/ 1956) tra le figure più significative della fotografia italiana, pur presentando la sala ed i pazienti con uno stile volutamente neutro sfrutta i giochi presenti nella sala irradiazioni al fine di distrarre i pazienti pediatrici nei lunghi tempi di esposizione per movimentare il set fotografico e renderlo più simile ad un atelier vero e proprio.
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Emilio Sommariva (1883 - 1956). Sala per irradiazioni ultraviolette. Fotografia eseguita su commissione di Guido Rossello Milano, 1930. Immagine in positivo realizzata digitalmente da un negativo alla gelatina bromuro d’argento su lastra (180x240 mm.). Biblioteca Nazionale Braidense n. inv. SOM. D. ls. IV. 62.
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Emilio Sommariva (1883 - 1956). Paziente nella sala per irradiazioni ultraviolette. Fotografia eseguita su commissione di Guido Rossello. Milano, 1930. Immagine in positivo realizzata digitalmente da un negativo alla gelatina bromuro d’argento su lastra (180x240 mm.). Biblioteca Nazionale Braidense N. inv. SOM. D. ls. IV. 64.