La scienza in posa

Tecniche e funzioni della fotografia scientifica 1867-1950

Grazie al progetto di ricerca “La scienza in posa: fotografia e scienza a Milano tra Otto e Novecento” è stato possibile compiere un’indagine accurata, durata oltre due anni, sugli archivi fotografici storici di alcune delle più importanti istituzioni scientifiche milanesi. La ricognizione effettuata ha portato ad individuare una selezione di esemplari che permettono di compiere un percorso affascinante di approfondimento dei molteplici utilizzi che il mezzo fotografico trovò nel lavoro quotidiano di ricerca e documentazione. Riscoprire e valorizzare questi fondi, che giacciono spesso quasi dimenticati, è quindi un modo per ridare voce a coloro che quelle fotografie scattarono o commissionarono. Il panorama delle collezioni milanesi risulta particolarmente interessante poiché, proprio in questa città, il connubio tra fotografi – professionisti e non – e comunità scientifica fu stretto e proficuo sin dagli esordi del nuovo mezzo. La fotografia fu immediatamente accolta dai circoli scientifici non solo come utile strumento nell’osservazione e nella documentazione dei fenomeni naturali, ma anche come canale privilegiato di rappresentazione dei risultati ottenuti e dello status raggiunto dalla comunità scientifica, soprattutto attraverso la ripresa e la diffusione delle immagini dei volti dei protagonisti e dei luoghi di spicco dei progressi tecnico-scientifici ed industriali dell’epoca. Le fotografie prese in esame testimoniano, in particolar modo, il momento in cui, a partire dagli anni Settanta dell’Ottocento, la pratica fotografica entrò a far parte della metodologia di ricerca in modo quasi quotidiano. Fotografi e scienziati iniziarono immediatamente a collaborare: l’aver entrambi eletto, come facoltà centrale del loro operare, il saper vedere, fece in modo che queste due figure si ritrovassero vicine nella consapevolezza del potere della fotografia di concentrare lo sguardo sui particolari e di agevolare, anche nello spettatore meno avvezzo, il passaggio dalla modalità distratta del vedere a quella del più attento osservare. L’idea della mostra è proprio quella di mettere in evidenza questo rapporto nodale tra visione dello scienziato e capacità rappresentativa, documentaria e anche narrativa del fotografo. Se dalle ricerche fin qui condotte nulla sembra essere rimasto delle primissime realizzazioni nel campo della fotografia scientifica dei due pionieri milanesi Alessandro Duroni (1807 – 1870) e Luigi Sacchi (1805 – 1861), le memorie ci tramandano comunque notizia dei loro risultati nel tentativo di ottenere prove dagherrotipiche e calotipiche durante le eclissi solari rispettivamente del 1842 e del 1851. Non ci deve stupire che molti esemplari fotografici di argomento scientifico non siano arrivati fino ai giorni nostri: la sensibilità verso questa categoria di immagini è mutata solo di recente e molte preziose testimonianze si sono salvate spesso solo grazie al fatto di essere state “dimenticate” per più di un secolo dentro un armadio. La fotografia scientifica era considerata puramente come fotografia applicata: una serie di pratiche realizzate con fini utilitaristici avente una stretta funzione di documentazione ausiliaria alla scienza. In realtà il frutto della fotografia scientifica, che Jules Janssen (1824 – 1907) definì la “retina dello scienziato”, anche se non è composto, nella maggior parte dei casi, da immagini prodotte con qualche intenzionalità artistica, coincide spesso con ammalianti, capaci di stupire chi affronta questi materiali come semplici documentazioni tecniche.

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